Totò al Giro d'Italia

Totò al Giro d'Italia (Mario Mattòli, 1948)

 

Genere Commedia - Italia, 1948, durata 85'

 

Con Isa Barzizza, Giuditta Rissone, Totò, Luigi Pavese, Vinicio Sofia. Alda Mangini, Carlo Micheluzzi, Fulvia Franco, Gino Bartali, Fausto Coppi, Mario Castellani, Walter Chiari, Mario Riva, Eduardo Passarelli, Carlo Ninchi, Loris Gizzi, Ughetto Bertucci, Totò Mignone, Marcello Marchesi

 

Scelto come secondo film per la Rassegna

"CICLISMOVIES" da Gianni Mameli.

 

Presentato e discusso martedì 8 ottobre 2019

 

Il ciclista più improbabile sulle strade italiane.

Totò Casamandrei vende l'anima al diavolo per conquistare una ragazza; infatti per poterla sposare, deve vincere il Giro d'Italia, in un'epoca in cui tale storica competizione ciclistica vedeva la partecipazione di mostri sacri quali Bartali, Coppi, senza contare i grandi campioni stranieri. Pertanto, per assicurarsi l'impresa, decide di scendere a compromessi con Lucifero, che nel film ha le sembianze di un maggiordomo con l'accento veneziano. Ma nell'impresa troverà l'aiuto della madre. In fondo si sa, le donne ne sanno sempre una più del diavolo...
Film divertente, che vede anche la partecipazione di vari campioni del ciclismo dell'epoca: Fausto Coppi, Gino Bartali, Fiorenzo Magni, Bobet...
Una dedica ironica ad uno sport che distraeva gli italiani dalle fatiche e dal dramma del dopoguerra: il ciclismo.
 
Un professore, incapace di andare in bicicletta ma pazzamente innamorato è disposto a tutto pur di vincere e conquistare Doriana, e pertanto decide addirittura di vendere l’anima al diavolo. Viene colto alla lettera dal reale demonio veneto Filippo Cosmedin che si adopera in tal senso, facendogli firmare un regolare contratto. Il ciclista barbuto comincia a vincere facilmente tutte le tappe, fra lo stupore generale dei giornalisti e la rabbia dei campioni delle due ruote. Il patto col diavolo comporta però solo la vittoria al Giro, non certo la vita lunga e felice con Doriana che Casamandrei aveva sognato: il contratto firmato col sangue, infatti, prevede che, una volta trionfato alla kermesse, l’anima del malcapitato cada nelle mani del demonio e che questi muoia, impadronendosene con la dannazione immediata. Il professore, accortosi della tragica situazione, ce la mette allora tutta per non vincere, aiutato dalla stessa Doriana – che, commossa dalla vicenda dell’accordo col demonio, s’innamora anche lei dell’insegnante – della di lei sorella Gisella, neoeletta Miss Italia, e del giovane reporter sportivo Bruno, ma con scarsi risultati.
Fino alla vigilia dell’ultima tappa, la maglia rosa è saldamente in suo possesso. Il giorno dell’ultima tappa Casamandrei sembra ormai rassegnato a vincere, ma si rivela provvidenziale l’intervento di sua madre che, con uno stratagemma, fa assopire Cosmedin e utilizza i suoi poteri soprannaturali per far cadere il professore a poca distanza dal traguardo finale (le donne, com’è noto, e specialmente le madri, ne sanno una più del diavolo).
Tutto si conclude per il meglio: Casamandrei si fidanza con Doriana e Gisella con Bruno e Cosmedin, pentito, trova l’occasione di redimersi lavorando come domestico in casa Casamandrei.
Rimane incerto, al millesimo di secondo, chi fra Coppi e Bartali abbia vinto il Giro.
La pellicola si conclude col fortunato neosposo che canta la canzone-parodia La maglia rosa, sulle note de Il barbiere di Siviglia, doppiato alternativamente da un baritono e da un soprano.
È il primo film in cui il nome di Totò compare nel titolo, e qualcosa vorrà pur significare. Vuol dire che l’attore napoletano riuscì, dopo undici anni che calcava le scene del cinematografo, a farsi una nomea tirando fuori il meglio del suo repertorio di quando recitava a teatro: occhi incrociati, funambolismi verbali, acrobazie fisiche non troppo esagitate, movenze corporee assai espressive, recitazione paradossale, frasi di grana grossa e, ultima ma solo in questo elenco, intelligenza seduttiva e caparbia nel raccontare i tempi in cui viveva. Seduttiva perché cattura in una frazione di secondo lo spettatore per come rappresenta l’Italia d’una volta e lo catapulta in una dimensione molto più ardua ma anche molto più stimolante di quella odierna, e caparbia perché non demorde mai nel suo discorso sulla povertà materiale che innesta anche ragionamenti semplici, ma pur sempre logici, sulla ricchezza interiore delle persone che vivevano quando l’esimio principe Antonio De Curtis faceva il suo inimitabile cinema.
Qui lo vediamo nei panni di un laureato che si improvvisa ciclista, dopo aver stipulato il più deprecabile dei contratti, per far breccia nel cuore d’una donna, già promessa ad un giovane giornalista (un W. Chiari 27enne ancora non in forma smagliante, ma già pronto ad assumere quei tratti che caratterizzeranno la sua recitazione vivace e pimpante negli anni a venire), ed è una delle poche pellicole dell’interprete partenopeo girate quasi completamente in esterni e che attraversa numerosissime località italiane, dalle più importanti a quelle meno conosciute, tratteggiando un percorso che sembra davvero la mappa topografica e planimetrica di un Giro d’Italia e che ci fa capire come, settant’anni fa, appena finita la guerra, ci si stesse risollevando promuovendo iniziative elargenti come lo sport e le manifestazioni di carineria femminile come appunto Miss Italia.
Totò è come sempre eccezionale nel combinare il suo pathos all’autoironia e nel cercare anche nel minimo dettaglio una motivazione che spinga il pubblico a farsi una risata grassa e pregevole, ma pure il suo accompagnamento non gli è da meno: oltre al già citato Chiari, quieto e flessibile, I. Barzizza brilla nelle vesti della giurata affascinante e ammaliante che alla fine ricambia gli interessi dell’inarrestabile professore; la Rissone è calma ma ferace nei panni della madre furba che riesce a mettere nel sacco il diavolo, un C. Micheluzzi baffuto che, esprimendosi in accento veneziano, tira fuori il meglio di sé nelle battute esautorate; e infine che dire anche dei due commentatori dall’Alto dei Cieli, il Nerone di L. Catoni e il Dante Alighieri di C. Ninchi? Due presenze macchiettistiche che aggiungono acume e colore ad un film comico che induce riflessioni profonde su un Paese che doveva ancora ricompattarsi e che, grazie soprattutto al fedele e bravo M. Mattoli (che diresse Totò in svariate occasioni), ci racconta uno spaccato di vita estremamente interessante per la sua originalità, valida ancor oggi, costruttiva e per il suo tangibile ottimismo in un futuro migliore (quanto ne avremmo bisogno, oggigiorno!), incarnato specialmente nella figura del protagonista.
 
In merito alla lite tra Bartali e Coppi 

Al campionato del mondo di Valkenburg, il 22 agosto, viene toccato l'apice della rivalità tra i due campioni: Coppi e Bartali, capitani della selezione italiana, si guardano, si controllano a vicenda, si marcano per tutta la prova; una volta che la gara è compromessa, si ritirano congiuntamente. Per la condotta scriteriata (l'evento divenne noto come "la vergogna di Valkenburg") l'UVI squalifica Bartali e Coppi per due mesi, poi ridotti a uno, a partire dal 1º settembre: la delibera, a firma del presidente Adriano Rodoni, affermava che i due campioni, «dimentichi dell'essere loro affidato di tenere alto il prestigio italiano, soggiacendo ad antagonismo personale, si sottraevano alla competizione suscitando l'unanime riprovazione degli sportivi»