L'insolito caso di Mr. Hire

L'insolito caso di Mr. Hire

(Patrice Leconte, 1989)

 

Genere Giallo - Francia, 1989, durata 80'

 

Con Sandrine Bonnaire, Michel Blanc, André Wilms, Luc Thuillier, Molly Picon

 

Scelto come secondo film per la Rassegna

"L' affaire Simenon" da Pasquino Fadda.

 

Presentato e discusso martedì 12 novembre 2019

Da un romanzo di Georges Simenon. È stata uccisa una ragazza e la polizia (nonché molti vicini) sospetta di monsieur Hire, un ometto misterioso e solitario, forse un maniaco. Hire sa chi è stato: l'amante di una bella ragazza di cui lui s'è innamorato a distanza. L'assassino manda la ragazza da Hire, questi, che si illude di aver suscitato in lei sentimenti affettivi. Non sa che è tutta una macchinazione per incastrarlo definitivamente.

  

Recensione di Paola Di Giuseppe su MyMovies.it
 
Una firma prestigiosa per la colonna sonora, quella di Nyman, un racconto di Simenon come fonte letteraria, Les fiançailles de Mr. Hire già portato sullo schermo da Duvivier nel ’46,una lettura in chiave psicologica e intimista di un thriller classico tinto di noir, e L’insolito caso di M. Hire si colloca a pieno titolo nel repertorio dei film d’autore,con una scrittura filmica accurata, condotta con mano felice nella costruzione di atmosfere,nel dosaggio dei colori desaturati, freddi, nel gioco di inquadrature claustrofobiche che si alternano ad altre, ampie e raggelate, e infine nella complessità dei personaggi, un uomo e una donna di disarmante ambiguità, sottilmente e puntigliosamente indagati fino a scalfirne la maschera e far emergere un mondo interiore insospettabile.
 
Il giallo diventa quasi una sottotrama, un pretesto per dire altro, parlare di mondi che uno si porta dentro, storie di emarginazione e pregiudizio, forme che l’amore può assumere, assoluto o fasullo,interessato e finto o totalmente vulnerabile e capace di portare alla morte. Legàmi, comunque, che la convivenza fra esseri umani tesse, nel tempo e nello spazio,e ne nascono intrecci, storie da raccontare, vite solitarie, frustrate, che per un attimo si tendono alla ricerca di un vivere diverso. Stavolta si tratta di un sarto di mezza età, è solo ed ha tutta l’aria di star bene così, non gli piace aver gente intorno.Lui non piace ai vicini,naturalmente,né ai loro odiosi figlioletti che giocano in cortile. Alice,dirimpettaia giovane e carina,ha dimenticato di mettere tende alle finestre e le pulsioni voyeuristiche di Mr. Hire si rivelano incontenibili e la finestra da cui osservarla in segreto diventa il suo posto preferito. Però, ed è qui la prima sorpresa, si tratta di amore. Hire è un ometto sempre vestito di nero,che si sospetti di lui per l’assassinio di una ragazza del quartiere è addirittura scontato e il suo gesto di piccolo eroe del quotidiano consiste nel non rivelare ciò che invece sa e che ha visto per non compromettere l’amata Alice. Alice, da parte sua,si avvicina a Hire per puro opportunismo, è subito evidente,le interessa sapere cosa lui sa di Emile, il fidanzato da coprire.
 
Ma, sorpresa anche qui, c’è qualcosa in più in questo approccio, un’attrazione che mette a nudo parti del suo “io” insospettabili. Nessuna indulgenza al romanticismo, a Leconte interessa lavorare alla definizione di tonalità emotive e osservare le interrelazioni fra il testo filmico e quello sonoro offre una buona chiave di lettura, la scelta del quartetto op.25 di Brahms è del regista e Nyman costruisce il tema sonoro elaborando il pezzo classico e facendolo poi convivere con l’originale,quello che M.Hire ascolta mentre osserva Alice nel vano buio della sua finestra. Per Nyman “La musica non deve essere utilizzata per il suo carattere emozionale ma come un mezzo di identificazione, deve cioè identificare il tempo e il luogo” e dunque affidare alla musica questo impegno di localizzazione della vicenda conta molto in un film in cui tempo e spazio sono solo apparentemente definiti, se è Leconte stesso ad affermare: “Non si può veramente dire a che epoca il film appartenga”. E' lo schermo il luogo reale ed è il regista a segnarne i confini, quello che mette in scena è lo spazio del non detto, del non realizzato, lo spazio dello sguardo, quello che si nasconde nelle zone d’ombra: “Nel cinema invece spesso tutto è troppo chiaro, si mostra tutto,mentre sono le zone d’ombra quelle interessanti, nel cinema come nella vita”